[di Lineagotica]
Il Festival di Torino è il Festival che non si può non amare: per la proposta variegata di sezioni, di film, di generi. Un festival qualitativo e quantitativo, per cinefili voraci, per tutti i gusti e palati, un festival che mescola un’anima sperimentale, innovatrice, retrospettiva, classica e tradizionale; un festival senza orpelli (inutili red carpet e flash di fotografi), che non deve fare sfoggio di nulla se non dei film – unici e veri protagonisti – con le incursioni di un’immensa Emanuela Martini che in modo informale e sintetico ci presenta attori e registi portandoci al cuore dei film.
Alla fine di un Festival così denso e intenso, l’inevitabile malinconia “post- emozionale” che ci si attacca addosso fondendosi alla nostalgia che tipicamente caratterizza le vie del ritorno, è accompagnata da tutti i frammenti di film visti e da tutti i frammenti del festival che già ci mancano.
La scelta frenetica dei film da vedere, spesso consapevole ma a volte anche casuale;
il programma del festival stropicciato, bagnato dalla pioggia, macchiato e vissuto, Bibbia e nutrimento quotidiano;
tutti i film visti che forse sarebbe stato meglio non vedere
tutti i film che avremmo voluto vedere e non siamo riusciti a vedere;
tutti i film che: “chissà forse quello meritava “;
le brevi pause tra una proiezione e l’altra al caffè Dolce Sorriso o al Miagola Caffè per ricaricare un po’ le pile;
le ore in piedi in attesa di entrare, origliando i commenti degli addetti ai lavori;
le molte ore senza mangiare o andare al bagno per non perdersi quella proiezione;
i portici torinesi che ci hanno accompagnato negli spostamenti tra un cinema e l’altro.
E i tanti film di cui ci siamo nutriti.
I film che riescono ancora a stupirci e intenerirci, penso al film Tailandese Pop Aye
Quelli che fanno riflettere e riconciliano con il buon cinema, penso al film francese vincitore del premio del pubblico A Voix Haute e al film Israeliano Dont’ Forget Me vincitore del concorso, film interessante e coraggioso (con però qualche riserva e qualche dubbio che fosse il giusto vincitore) e penso al film Britannico Daphne intenso ritratto femminile.
Quelli che ci hanno fatto sorridere anche in modo intelligente, penso al Francese Un Beau Soleil Intérieur
Quelli che meglio dimenticare, penso al Cinese in Concorso The Scope of Separation e al film Blue Kids.
In più quelli che “partono bene ma poi si perdono”, occasioni mancate di un grande film o quelli che proprio non li ho capiti o infine quelli su cui ancora riflettere prima di emettere un verdetto.
E poi dopo la grande scorpacciata (alcuni giorni anche 5 o 6 film) a volte resta – come lo definiva un giornalista – “l’eco del cinefilo”, immagini che si fondono e mescolano, un vortice filmico in cui continuare a perdersi.
I giorni del Festival sono stati anche i giorni di Torino, della città di Pavese, della città dove ancora si ascoltano i suoi passi e giunge l’eco dei suoi versi. Dopo essermi seduto allo storico caffè Platti (dove lui amava leggere e scrivere) e dopo aver visto il film documentario A Sud di Pavese non posso non ripensare al racconto della Ginzburg Ritratto di un amico. Un commovente ricordo e ritratto di cui vi lascio uno stralcio sulla via del ritorno.
Affido a Cinecris questi frammenti di viaggio e di Festival.
La nostra città rassomiglia, noi adesso ce ne accorgiamo, all’amico che abbiamo perduto e che l’aveva cara; è, come era lui, laboriosa, aggrondata in una sua operosità febbrile e testarda; ed è nello stesso tempo svogliata e disposta a oziare e a sognare. Nella città che gli rassomiglia, noi sentiamo rivivere il nostro amico dovunque andiamo; in ogni angolo e ad ogni svolta ci sembra che possa a un tratto apparire la sua alta figura dal cappotto scuro a martingala, la faccia nascosta nel bavero, il cappello calato sugli occhi. L’amico misurava la città col suo lungo passo, testardo e solitario; si rintanava nei caffè piú appartati e fumosi, si liberava svelto del cappotto e del cappello, ma teneva buttata attorno al collo la sua brutta sciarpetta chiara; si attorcigliava intorno alle dita le lunghe ciocche dei suoi capelli castani, e poi si spettinava all’improvviso con mossa fulminea. Riempiva fogli e fogli della sua calligrafia larga e rapida, cancellando con furia; e celebrava, nei suoi versi, la città:
Questo è il giorno che salgono le nebbie dal fiume
Nella bella città, in mezzo a prati e colline,
E la sfumano come un ricordo…
I suoi versi risuonano al nostro orecchio, quando ritorniamo alla città o quando ci pensiamo; e non sappiamo neppure più se siano bei versi, tanto fanno parte di noi, tanto riflettono per noi l’immagine della nostra giovinezza, dei giorni ormai lontanissimi in cui li ascoltammo dalla viva voce del nostro amico per la prima volta: e scoprimmo, con profondo stupore, che anche della nostra grigia, pesante e impoetica città si poteva fare poesia.
Ricordiamo tutte le sezioni del festival:
Torino 35 – Concorso
La più importante sezione competitiva del festival, riservata a opere prime, seconde o terze, ha proposto film realizzati nel 2017, e inediti in Italia
Festa Mobile
Che come ogni anno, porta al festival gli esemplari più attesi o che sono piaciuti di più tra la produzione mondiale inedita in Italia, e quello che è piaciuto nei festival stranieri
Afterhours
La sezione dark del festival con Horror, spesso molto sui generis, thriller, commedia cinefile e qualche film italiano eccentrico
Le sezioni più cinefile e sperimentali quali:
Onde
Nello scenario diradato e nella curvatura intimamente crepuscolare che la realtà contemporanea offre questa sezione va alla ricerca espressiva portata avanti dai filmaker più giovani e innovativi
Torino Film Lab
Un’iniziativa del Museo Nazionale del Cinema, che da 10 anni sostiene filmmaker emergenti da tutto il mondo attraverso attività di formazione, sviluppo di progetti e finanziamento alla produzione e alla distribuzione.
Retrospettiva Brian de Palma – Torino Film Festival omaggio a Brian de Palma
TFF DOC
Corti Italiani