Amore, mostri e diverse umanità al profumo di Oscar
Una storia d’amore, una favola moderna, un B-movie Horror, un film storico sulla guerra fredda: tutto questo può rientrare perfettamente nella descrizione dell’ultimo lavoro di Guillermo Del Toro, The Shape of Water (La Forma dell’Acqua).
C’è molto in termini di tematiche e anche di cinema ne La Forma dell’Acqua che mescola generi, epoche cinematografiche e film.
In un contesto storico riconoscibile anche se non collocabile in una data precisa (il che aiuta l’universalizzazione dei vari temi che vengono toccati), si susseguono scene e momenti visivi che, più che una citazione, sono intersezioni con film di varie epoche e generi. E allora, Guillermo Del Toro ci accompagna tra vecchi film, fumetti, archetipi mitici con la sua inquieta immaginazione visiva, per creare un film che sembra più “scoperto” (o meglio disvelato) che “realizzato”, come se ne avesse strappato dall’etere culturale tutte le parti che lo compongono e gli avesse dato colore, voce e forma.
In primis riprendendo Il mostro della Laguna Nera (un classico dell’horror che vede protagonista una strana bestia, un quasi-pesce e sorta di umano, scoperta nelle foreste pluviali amazzoniche e che nell’aggiornamento di Del Toro, diventa una creatura portata a Baltimora nei primi anni ’60 e conservata in “salamoia” in un laboratorio di ricerca governativo, dove viene sottoposto a torture brutali in nome della scienza e della sicurezza nazionale), ma anche La bella e La bestia.
Un mostro che qui è alla mercé di una specie – questa sì assai pericolosa – impersonata da Richard Strickland, un esponente di governo, quadrato anche nella mascella, che vive in un sobborgo di periferia con moglie e due figli, guida una Cadillac e legge “Il potere del pensiero positivo” praticando meccanicamente il sesso con la coniuge mentre è tentato dalla molestia sessuale sul lavoro. Un personaggio estremo certo, ma che fa (molta) più paura poiché in lui ritroviamo una certa tipologia di esseri umani purtroppo assai diffusa (americani e non).
Per fortuna a salvare la povera creatura arriva Elisa, la donna delle pulizie che si innamora di lui molto probabilmente perché è un “diverso” come lei (muta) e il suo migliore amico (gay), che usa la forza dell’immaginazione contro le regole e gli ostacoli; l’immaginazione che nei film di Guillermo del Toro è sempre un motivo forte, quello che può e deve contrastare un realismo duro e spesso inaccettabile. E allora questa storia d’amore tra specie diverse (prima inquietante, poi anomala e infine quasi naturale) rappresenta la bellezza della mitologia classica, quella dei centauri, dei satiri e delle divinità semi umane, portando la Bellezza dentro la politica e scovando la vera essenza sotto e dentro il livello dell’acqua, liquido amniotico che qui fa anche da spartiacque tra due mondi possibili, contigui e forse non conciliabili.
Pieno di colori vivaci, ombre, immagini da cartoon e dettagli noir, questo film è una favola a tutto tondo, innegabilmente scritta pensando all’Oscar, che cerca possibili linguaggi che vadano oltre la parola, celebrando la ricchezza di spirito e l’umanità (anche di origine “bestiale”) contro la bruttezza che c’è nel mondo.
P.S.
Credo che La Forma dell’Acqua debba molto – narrativamente parlando – a La La Land di Damien Chazelle.