Di virus, pandemie e delle paure filmabili.
Scrivere del film di Soderbergh che in questo periodo è stato tirato maggiormente in ballo, due o tre mesi fa sarebbe stata, ovviamente, tutt’altra cosa.
Contagion (2011), la pellicola “profetica” che parla di un virus letale che con il Covid-19 ha in comune molte cose, è un film che tirato in ballo ora, viene per forza di cose percepito e letto in modo diverso.
Ma tant’è.
Steven Soderbergh, nel corso degli anni, dal suo piccolo cult Sesso, Bugie e Videotape, passando per i vari Ocean, fino ad arrivare a Traffic o Effetti Collaterali, ci ha abituati a generi e forme narrative diverse, destreggiandosi, spesso in modo interessante, tra di essi.
Diciamo subito che il film, che vanta uno dei cast all star ai quali ci ha ormai abituati (ci sono Matt Damon, Jude Law, Kate Winslet, Laurence Fishburne, Marion Cotillard, Gwyneth Paltrow, John Hawkes, Elliott Gould), non si può definire opera del filone “catastrofico”.
Invece di mettere in scena l’apocalisse, il regista preferisce sondare le atmosfere e i toni suggestivi, districandosi su diversi livelli spazio-temporali, mostrando un qui e ora diverso ma sovrapponibile. Elementi tipici del postmoderno e dell’era contemporanea, dove sono azzerate lontananze e scarti temporali (il viaggio aereo rende tutto vicino, anche le malattie), dove gli incontri e i contatti sono frequenti e molteplici. Sia quando si tratta di fugaci incontri amorosi che, ahinoi, quando questo riguarda la facilità con cui un virus viaggia e può potenzialmente viaggiare da un continente all’altro.
Insomma, la banalità degli scambi e i paradigmi del mondo globale diventano anche la facilità e la banalità del male/malattia (questo ormai lo abbiamo imparato benissimo, direi).
“Chissà dove nel mondo il maiale sbagliato ha incontrato il pipistrello sbagliato”: le parole pronunciate dalla dottoressa – che è una delle figure che si trovano a fronteggiare in prima linea il nuovo terribile nemico, lei dal punto di vista medico, altri politico e amministrativo – rendono bene l’idea della casualità e della possibilità dello sviluppo del virus e della sua diffusione.
Esteticamente, ma anche dal punto di vista narrativo, il film procede con le stesse modalità del virus: in modo asincrono, con un montaggio serrato e veloce che rende bene il ritmo e il fattore “R” con il quale avanza il contagio, descrivendo al contempo la cadenza della paura e delle psicosi.
Medici e Organizzazione Mondiale della Sanità che cercano di capire, le misure da adottare e una cura possibile: l’epidemia intanto, sovrasta in pochissimo tempo qualsiasi attività umana minando ogni certezza e ogni punto di riferimento, mettendo in gioco e stravolgendo anche i rapporti umani e i più intimi sentimenti.
Ci sono molte informazioni e diversi elementi in questo film: il ruolo dei media, di Internet, la coscienza, il senso di responsabilità, i complotti.
La cosa sulla quale soffermarsi, però, è che più che la diffusione del virus, Soderbergh sembra interessato a raccontare la diffusione della paura, i suoi meccanismi e i suoi effetti sugli esseri umani.