Lo Star System tra nevrosi e grandi prove attoriali. In B/N.
Celebrity di Woody Allen.
Titolo Originale: Celebrity
Regia: Woody Allen
Nazione: Polonia/ Svezia
Anno 1998
Tra i film migliori di Allen sullo star system e sulle celebrità (insieme a Broadway Danny Rose, Harry a Pezzi,…), Celebrity di Woody Allen (Celebrity, 1998) occupa un posto speciale. Nel film un uomo, Lee – interpretato da un Kenneth Branagh che per l’occasione ha assunto le stesse movenze e lo stesso balbettìo di Allen, diventandone il perfetto alter ego – è uno scrittore al momento bloccato, in crisi in tutti i settori della sua vita compreso quello sentimentale. Il film si apre sulle note struggenti di You ought to be in pictures (Dovresti essere in un film), mentre sul cielo plumbeo che sovrasta un set cinematografico appare la scritta “help”. Lee è sul set per intervistare la protagonista della pellicola, la star Nicole. Intanto Robin, la moglie dalla quale si è appena separato, sta cercando di ritrovare l’equilibrio in un centro di cura a metà tra il conventuale e il “new age”. Lee si perde tra mille storie: con una bellissima modella e una giovane attrice in carriera che non vuole legami sentimentali, fino a Bonnie con la quale nel momento in cui si prospetta la convivenza, rompe. Robin invece, in un modo del tutto casuale nello studio di un chirurgo plastico, incontra l’uomo della sua vita. Lui si chiama Tony, si occupa di televisione ed è innamoratissimo di lei, al punto che le cambierà l’esistenza. Tornano tutti i temi cari al regista (TV e letteratura, sesso e moda, nevrosi e psicoanalisi) che qui vengono passati in rassegna in relazione all’ossessione tutta contemporanea per la fama e il successo. Con Celebrity, «film comico sul fenomeno della celebrità in America, un fenomeno che ha raggiunto dimensioni isteriche, dove anche una signora che pratica la fellatio può raggiungere una grande fama in questi giorni e in questa epoca»[1], il regista che ci regala un altro affresco della società contemporanea, visto come sempre attraverso la sua irresistibile ironia. Per mostrarci il marcio di questo mondo Allen ha scelto come Virgilio un eccezionale “alias”, Lee/Branagh che ci conduce su e giù per New York, svelandoci i retroscena di quel mondo patinato che altrimenti, noi comuni mortali non potremmo (e forse, dopo aver visto Celebrity di Woody Allen non vorremmo nemmeno!) mai conoscere. Il perché la scelta sia caduta su di lui a questo punto è piuttosto ovvio e lo spiega lo stesso attore: «(…) Non è solo per il fatto che il protagonista è un quarantenne, ma soprattutto perché (Allen) voleva evitare ogni identificazione fra sé e il personaggio. Woody all’epoca ha già abbastanza guai. Ve lo immaginate cosa avrebbero detto se avesse interpretato un uomo che non solo lascia la moglie, ma che abbandona pure la sua nuova compagna per inseguire una ragazzina che manco lo vuole?».[2]
Se è vero che in Celebrity di Woody Allen manca il plot, i “tipi” che il regista ci mostra attraverso Lee sono indimenticabili. C’è l’attrice, Nicole, che dichiara: «il mio corpo appartiene a mio marito» per aggiungere subito dopo: «ciò che faccio dal collo in su è tutta un’altra storia» (la fellatio tornerà nella scena più esilarante, quando Robin va a lezione da una prostituta che le fa far pratica con una banana); c’è la top model “polimorfa perversa”, che riesce a provare piacere in ogni centimetro della sua pelle, e c’è il divo (il vero divo Di Caprio che interpreta sé stesso), catalogo completo di vizi e follie da ricchi-e-famosi. E poi c’è Robin che da moglie abbandonata e in profonda depressione ritrova la felicità accanto ad un uomo che si occupa di stupidi e inutili programmi TV sulla gente famosa, che lei stessa condurrà diventando il tipo di donna che aveva sempre detestato. Woody Allen non risparmia le sue frecciate, oltre che ai personaggi famosi, al mondo televisivo (nel palinsesto di Tony c’è uno show che si occupa di “grassi e realizzati” e mette a confronto rabbini e naziskin), alla psicoanalisi (facendo assolvere ad una chiaroveggente le funzioni di analista, là dove i medici hanno fallito) e alla religione (con preti-divi ai quali si domanda se sia più famoso il Papa o Elvis e con statue di santi che versano “sangue a comando”). Il regista non riserva un trattamento migliore a sé stesso quando, ad una prima, l’autore del film che viene proiettato è considerato «uno di quegli stronzi che fanno solo film in bianco e nero» (come Celebrity!).
Come di consueto la comicità è l’arma migliore di Allen e come di consueto è “velata” da quell’amarezza sempre in agguato. «Del resto la prima parola del film è “Help”, aiuto. E l’amarezza corre sotto la superficie scintillante di gag. Morale: si salva chi sa rimettersi in gioco, chi non è ancorato alla propria identità (Robin/Judy Davis, da insegnante repressa a conduttrice TV). Mentre gli altri, le star, i “vincenti”, sono figure fossilizzate e grottesche».[3]
La sempre ottima fotografia di Sven Nykvist (un graditissimo ritorno), morbida e al contempo spietata, e l’incantevole colonna sonora, contribuiscono a riportare in primo piano quei quartieri di Manhattan abitati dal circolo delle celebrità.
[1] Andrea Martini, Woody, la sublime ossessione del sesso, «La Nazione», 11 settembre 1998,
[2] Kenneth Branagh (intervista a), «Ciak», n.1, gennaio 1999, p.77.
[3] Fabio Ferzetti, Miti e triti nel mirino di Woody Allen, «Il Messaggero», 11 settembre 1998,